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Quando si ha a disposizione una bella terrazza o un giardino, è quasi naturale voler fruire dello spazio nella maniera migliore. Un pergolato diventa quindi un’occasione per creare un luogo più accogliente in cui passare i propri momenti all’aperto.

Giardino in una corte interna di Yerevan (Armenia).

Giardino in una corte interna di Yerevan (Armenia).

Spesso questo desiderio si scontra, però, con la necessità di affrontare un lungo processo autorizzativo per il proprio arredo esterno. I pergolati e le tettoie generalmente vengono considerati interventi che comportano un aumento volumetrico e quindi sottoposti a SCIA, DIA o (addirittura) Permesso di Costruire. Cosa significa? Costi di segreteria che possono essere anche piuttosto alti e un iter autorizzativo che può raggiungere anche la durata di alcuni mesi.

Arriva però a metà del 2014 una pronuncia del Consiglio di Stato (1777/2014) che precisa che non serve alcun permesso di costruire nel caso si vogliano realizzare pergolati o tettoie facilmente amovibili.

Vuol dire quindi che posso costruire una tettoia senza richiedere alcun permesso?

No. Fermo restando la necessità di verificare in Comune le disposizioni del regolamento edilizio e la presenza di vincoli che possano richiedere autorizzazioni supplementari (ad es. vincoli paesaggistici), significa che potranno essere realizzati pergolati senza necessità di permesso di costruire (rientrando nell’attività edilizia libera). La differenza tra pergolato e tettoia è sottile ma importantissima.

Il pergolato è una struttura aperta ai lati e sul lato orizzontale di copertura ed è destinata unicamente all’ombreggiamento e al riparo dal sole. La copertura deve essere realizzata in materiali leggeri (ad esempio bambù, cannicciato, tessuto o vegetazione).

La tettoia, invece, può avere dei caratteri di stabilità e non viene generalmente considerata dalla giurisprudenza amministrativa come opera provvisoria.

La precarietà e quindi la conseguente possibilità di rientrare nell’attività edilizia libera vanno valutate sulle caratteristiche della struttura, sull’utilizzo che se ne intende fare e solo infine sulla rimovibilità delle opere.

Acquistare una casa, qualunque siano le sue dimensioni, è uno degli eventi più importanti nella vita di una persona. Significa creare un legame con un luogo e, soprattutto, indirizzare in un senso ben preciso la direzione delle proprie entrate future. Sebbene certi controlli vengano fatti dal notaio, è fondamentale sapere che non sempre ciò che si vede dalle planimetrie catastali è effettivamente l’ultimo stato autorizzato dell’immobile. Per usare una metafora: se acquistaste un’auto usata, non vi sembrerebbe naturale far verificare le condizioni della vettura dal vostro meccanico di fiducia? Facciamo quindi un po’ di chiarezza sulla differenza tra la documentazione catastale e quella comunale.

Cosa s’intende con “stato autorizzato”? Si tratta della situazione legale certificata in Comune, ossia l’ultimo atto depositato riguardante la casa (può essere l’originaria concessione edilizia, una comunicazione d’inizio lavori per qualunque opera interna, una sanatoria in caso di abusi…). Quest’atto dovrebbe riportare l’esatta disposizione delle aperture, delle tramezze interne, di eventuali verande: insomma dello stato di fatto così com’è. Sarebbe spontaneo chiedersi:

Il Catasto non è anche prova dell’ultimo stato autorizzato in Comune? Non sono collegate le due cose?

La risposta è spesso negativa.

Non da tempi recenti è fatto obbligo di aggiornare, al termine dei lavori edili, la situazione presso il Catasto, riportando lo stato reale dell’immobile. In ultimo, le ottime intenzioni contenute nel recente decreto Sblocca Italia, secondo il quale le variazioni catastali in seguito a piccole pratiche dovrebbero essere fatte in automatico dal Ufficio Tecnico comunale, si scontrano con difficoltà oggettive che rendono ancora necessario l’accatastamento da parte del tecnico del committente, per evitare lunghe attese.

Bisogna ricordare che Catasto e Comune sono enti differenti che viaggiano su procedure diverse. E’ pertanto possibile che un intervento realizzato sia registrato in Comune ma mai al Catasto oppure che la planimetria catastale sia stata aggiornata ma che non sia mai stata presentata una pratica in Comune per regolarizzare la situazione. Le cause possono essere più o meno nobili e vanno dalla semplice dimenticanza alla reticenza a pagare sanzioni per un abuso commesso da chi vende.

Come fare quindi a tutelarsi? 

Il primo consiglio è quindi di fare in modo (rivolgendosi a Catasto e ufficio di accesso atti del Comune in cui si trova l’immobile) di ottenere una planimetria aggiornata e copia dell’ultima (in ordine cronologico) pratica consegnata riguardante l’abitazione.

Spesso tuttavia lo storico autorizzativo (ossia la successione delle pratiche presentate) di un’abitazione può essere complesso, quindi rivolgersi a un professionista (geometra, architetto, ingegnere) può permettere di capire quale sia la situazione dell’abitazione che si vuole acquistare.

Perché è importante conoscere esattamente lo stato autorizzato dell’immobile?

  1. Una corretta registrazione amministrativa del proprio immobile permette di pagare tasse eque (e non sovrastimate su situazioni irregolari).
  2. Le future pratiche edilizie avranno un iter più semplice, senza l’impiccio di abusi pregressi da sanare.
  3. Non si dovranno pagare sanzioni (spesso dell’ordine di migliaia di euro) o affrontare ordini di demolizione su irregolarità commesse da altri.

Per verificare le condizioni amministrative e fiscali dell’abitazione che state comprando, in conclusione, controllate sempre cosa è stato depositato in Comune e potrete avere un’idea se il prezzo che state pagando sia effettivamente equo.